critica
Raffaele Della Rovere alla ricerca della forma pura
di Stefania Severi (Maggio 2002)

Raffaele Della Rovere alla ricerca della forma pura
Il percorso artistico di Raffaele Della Rovere è caratterizzato da una puntuale ricerca che l’ha spinto da un lato alla prassi, dall’altro al rigore ideativo. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Roma con il Maestro Pericle Fazzini, la sorte e le capacità l’hanno posto in contatto con uno dei più grandi scultori degli anni Sessanta, Albert Friscia, attivo soprattutto nell’ambito dell’arte sacra, grande creativo ma debole sotto il profilo tecnico esecutivo, specie per opere di ampie dimensioni. L’allora giovane Della Rovere, che la natura aveva fornito di una innata manualità alla quale la scuola aveva provvisto gli strumenti tecnici, fu chiamato a risolvere i problemi impliciti della scultura monumentale. Per anni ha lavorato accanto al Maestro contribuendo alla realizzazione, tra l’altro, delle cancellate interne e delle tre porte della Cattedrale di Chicago (1968-1969) e dell’altare maggiore della Basilica di Santa Maria in Montesanto a Roma. Il suo amore per la prassi lo portava ad individuare originali tecniche di restauro da applicare al gesso, così da ridare splendore a copie, specie ottocentesche, anche monumentali.



Si è dedicato anche alla formatura per realizzare riproduzioni di opere classiche. Nel frattempo vinceva il concorso per l’insegnamento di Discipline Plastiche conseguendo la cattedra nel più antico e prestigioso Liceo Artistico di Roma. Iniziava intanto la sua attività creativa nello specifico del disegno e della pittura (con una predilezione per la tempera) nei quali si individuano già in luce quelle “idee” che saranno poi alla base della produzione scultorea della maturità. L’attività espositiva inizia nel 1965 con la partecipazione a numerose collettive, dalla 5° Biennale dell’Aquila (1966) al IV Convegno degli Artisti dell’Arcidiocesi di Siena (1997) fino a “Le ultime tendenze dell’arte contemporanea” ad Anzio (1999). La scultura di Della Rovere nasce da due lezioni apparentemente antitetiche: l’arte classica greca e l’astrazione novecentesca. L’artista individua nell’armonia della natura il legame profondo tra quel lontano passato ed il presente. La natura, infatti, è armonica sia nella sua ritmica impostazione esemplare nelle corolle dei fiori, sia nel dinamismo dell’eracliteo “tutto scorre”.



Il tutto confluisce nelle sculture di Della Rovere, filtrato da una sintesi cui hanno contribuito la lezione di Constantin Brancusi e quella di Henry Moore. La visione armonica del passato si coniuga con la visione sintetica dell’astrattismo. Ogni scultura di Della Rovere è una forma armonica che si oggettiva nello spazio, imprimendo a questo un moto rotatorio imprescindibile. E’ una scultura che necessita di una visione a 360 gradi e ciò perché il dinamismo delle forme è tale che cambiando anche solo di un grado il punto di vista dell’oggetto si presenta altro. Un grande sforzo di concentrazione e di individuazione occorre, infatti, per riuscire ad attribuire ad una stessa opera immagini fotografate da diverse posizioni. Ogni lato, o meglio, frazione di lato ha la sua anima, data dai ritmi, dai chiaroscuri, dai volumi. L’intero risulta pertanto “misterioso” per la sua potenzialità di essere mai uguale a se stesso. E’ una scultura che oggettiva l’umano “intelligere” e pertanto si riallaccia alla concezione filosofica che fu peculiare dell’arte greca. E’ una scultura non retorica perché non vuole indurre il riguardante ad esprimere un giudizio su basi contenutistiche ed emotive, ma un’arte di puro pensiero speculativo tesa ai vertici dell’assoluto.
La intuizione prima di tutte le opere parte da un dato naturale (l'uomo, l'orizzonte, il cielo, la nuvola, l'onda, il volo...) e, attraverso successive riduzioni degli elementi esornativi, approda alla soluzione finale che è sintesi dell'intero percorso.
Tale percorso non è dissimile da quello operato da Piet Mondrian nella celebre serie dedicata all'albero, salvo che Della Rovere ci propone solo la soluzione finale. Questa è caratterizzata molto spesso dalla eccentricità, nell'accezione matematica del termine, ad esplicitare che la vita è sempre un sussulto e una provocazione nella visione armonica dell’insieme.
Esemplare è la serie dei kouroi. Il kouros è riferito al modello greco del giovane che incarna l'ideale della perfezione umana in chiave estetica, etica e noetica. Analizzando i kouroi, dall'Arcaismo all'Ellenismo, si evidenzia che gradatamente si sottraggono all'iniziale rigidità per conquistare il movimento. Della Rovere con i suoi kouroi, quintessenza del dinamismo, vuole indicare, scavalcando tutti gli ipotetici passaggi intermedi di venti secoli di ricerca, l'approdo odierno. Nascono così il Kouros del 1975 (gesso), il Kouros I del 1980 mostra “Nel nome del Padre” (1999 - bronzo), il Kouros II del 1981 (bronzo) e il Kouros III del 1982 (gesso).Parte invece da visioni naturalistiche, quali l'orizzonte e il volo, una serie di sculture in cui la linea-forma diventa protagonista assoluta. Gli elementi comuni a queste sculture sono l’accentuato linearismo, la sintesi della forma, il dinamismo. Sono opere che nel titolo offrono l’indicazione del procedimento del pensiero creativo così da consentirne una lettura puntuale. Sono: Selezione della Linea (bronzo del 1982), Sintesi della Linea I (bronzo del 1983), Sintesi della Linea 2 (gesso del 1983), Struttura Dinamica della Linea I (ceramica patinata del 1983), Struttura Dinamica della Linea 2 (cromato del 1983). A partire dal 1984 l'artista sembra voler espandere le sculture cosi da dotarle di una maggiore superfice sulla quale appuntare l’interesse, alternando ed esaltando gli effetti di levigatezza e di scabrosità. Qui le componenti linearistiche, sintetiche e dinamiche permangono sottese coniugandosi con ampie superfici. Sono: Nuclearità (ceramica del 1984), Onda (gesso patinato del 1994), Tensione n.2 (gesso del 1994), Tensione X n.1 (gesso del 1995), Volo (bronzo del 1997), Annunciazione (gruppo scultoreo in gesso patinato del 1998). Su queste ultime due opere voglio soffermarmi perché in esse la sintesi si coniuga con un trattamento quasi pittorico delle superfici e con un esplicito simbolismo delle forme cosi che l’intellettualistico pensiero sotteso si pieghi verso un sentire diffuso che offre ad esse un valore aggiunto: l'emozione. Nel Volo, il dinamismo diseguale delle ali, la trattazione scabra delle superfici che conferisce loro leggerezza di piuma, il solido angolo che oggettiva lo sterno... tutto ci parla di un volo reale ed ideale allo stesso tempo, libero ma anche irretito, possibile ed impossibile, prassi ed aspirazione. E' il volo come lo vediamo, come lo sogniamo, come lo idealizziamo. Nell'Annunciazione due sono le forme in dialogo: l'Angelo, puro Spirito nella dinamica delle ali tese con forte carica di penetrazione ideale, e la Vergine, ancorata alla terra, se pur protesa verso lo Spirito e ricettiva ad Esso. L'opera è stata esposta a Roma presso la Basilica di Santa Maria in Montesanto, Chiesa degli Artisti.

Quest’ultima scultura ci apre verso una produzione sacra che se non predominante è comunque sempre costante nell'attività dell'artista: dall’intensissimo Crocifisso del 1973 (cemento patinato), tragicamente teso come un arco, fino al Crocifisso del 1990 (argilla). In quest’ultimo la tensione sinuosa del corpo è ripresa dall'ampio gesto accogliente delle braccia: è un Cristo che, morendo, abbraccia l’umanità. Tra queste due opere si colloca il Tabernacolo del 1998. Quest’opera è stata realizzata in modello in gesso dorato a misura reale propedeutico ad una futura realizzazione in bronzo. Presentata al Concorso “Custodir il Sacro” per l'ideazione di un tabernacolo per la Diocesi di Sora (Frosinone), è risultata tra le 10 selezionate ed esposta a Roma nel corso della 36° “Settimana della Vita Collettiva”. In quest’opera l'artista ha rappresentato il “Pane celeste” legando due concetti, quello del volo, sintesi formale del celeste messaggero, e dell’ostia, resa da una forma circolare segnata da una croce. Ancora un concorso, indetto dall'Università di Roma La Sapienza, sezione Orto Botanico, è stato di stimolo per la realizzazione, nel 1996, delle sculture in gesso patinato Sterpo e Germoglio, al fine di illustrare le patologie delle piante. L'attività scultorea è stata costantemente accompagnata da una intensa attività grafica che, pur correlandosi con la plastica, grazie alla raffinatezza del grafismo ed agli accentuati effetti chiaroscurali, vive di vita autonoma. Questi disegni sembrano corrispondere al concetto michelangiolesco che l'idea che dapprima si forma nella mente dell'artista trova l’immediata oggettivazione nel disegno che pertanto è alla base di ogni ulteriore gesto creativo. Dell'opera dell'artista si sono occupati numerosi critici trai quali Gabriele Simongini che così scriveva nel 1995: «Della Rovere presenta una nutrita serie di opere scultoree sostanzialmente astratte, che rivelano un originale connubio tra leggerezza ed equilibrio, nelle loro poetiche aperture spaziali. La sintesi estrema raggiunta da Della Rovere è innervata da un'energia vitale che la tramuta in struttura “organica” ed autonoma. Non si tratta di un problema compositivo inerente ad una conquista dello spazio, quanto piuttosto di una concentrazione del medesimo nelle “linee-forza” della scultura». Tra le ultime mostre si segnalano le personali a Sperlonga, su invito del Comune (1993), ed a Roma presso la Basilica di Santa Maria in Montesanto, su invito del Comitato Romano Messa degli Artisti (1995). Una importante presenza espositiva all'estero è stata a Barcellona, presso il Centro Culturale Barradas l'Hospitalet, su invito dell'Istituto Italiano di Cultura, unitamente alla pittrice e performing artist Esmeralda Femández (2002).